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e l’altro, e proprio per l’essere questo rimasto all’oscuro, è la traccia che rivela il significato del documento stesso e la sua cadenza di scrittura vigilata. Una “vigilanza” endogena ed esogena. Era endogena, nel senso che ovviamente Moro sapeva di essere controllato e dunque controllandosi scriveva; era una sorveglianza esogena, nel senso che la gestione della scrittura da parte dei rapitori condizionava, della scrittura, il significato. Gli effetti che ne derivavano all’esterno, inoltre, con l’articolarsi degli avvenimenti dovevano sfuggire sempre di più a Moro, al quale non poteva essere del tutto chiaro come i responsabili del rapimento plasmassero il senso pubblico delle scritture con la selezione delle lettere, con un’articolatissima modulazione degli invii di alcuni di quei documenti e con un ritorno filtrato delle informazioni verso il loro ostaggio: un fiume carsico, solo a tratti affiorante, di cui a Moro doveva giungere qualche rivolo. Tutto ciò è contenuto in nuce nella prima lettera a Cossiga, e la delicatezza di questi passaggi è ulteriormente evidente dal contestuale invio della lettera di Moro al suo collaboratore Nicola Rana, quella sì effettivamente mantenuta riservata come Moro voleva e nella quale egli definiva, con notevole senso operativo, anche le modalità pratiche dei futuri movimenti di informazioni segrete che a suo avviso avrebbero dovuto condurre a uno scambio di prigionieri1.

È dunque nella sede dell’analisi del testo, o meglio di un iper-testo il più completo possibile, che si sciolgono i molti nodi tanto dibattuti all’epoca, uno dei quali fu la questione della credibilità e dell’autenticità di Moro nello scriverli. Si trattò di una soggezione attiva, il cui senso è pienamente comprensibile dedicando grande attenzione allo spessore delle assenze oltre che alle presenze. Già sostanzialmente dichiarato nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta pubblicata nel 19832, questo stato e le sue implicazioni nella gestione del sequestro potranno essere studiati sulle fonti a condizione che tutte le carte siano archivisticamente ricostituite come beni culturali, tutelate nel loro complesso ed esaminate quanto alla loro genesi.

Nel solco di questo itinerario si fa evidente il rilievo della prima lettera a Zaccagnini, recapitata il 4 aprile (n. 2)3, e di quella alla Democrazia cristiana recapitata il 28 aprile (n. 5)4. Sono infatti testi di cui conosciamo cinque versioni complessive — due per la lettera a Zaccagnini, tre per la missiva alla Dc — tre delle quali furono trattenute dai terroristi5: le sole versioni note nella forma

  1. Ibid., lettera n. 2.
  2. Senato della Repubblica — Camera dei Deputati, Vili legislatura, Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, doc. XXIII, n. 5, Roma 1983, voi. I, pp. 106-109.
  3. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettera n. 6.
  4. Ibid., lettera n. 82.
  5. Per le versioni non recapitate, Ibid., lettere nn. 7, 84, 85.