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116 vita di alberto pisani

di lei, ùnica fortuna sua che or le tornava in disgrazia. — Intanto — ciò vèr gli straccioni alle terga — noi, «pòpolo», crcpiamo di fame!... Cittadina Beaumont! guarda col tuo parlare «anticìvico» di non obbligarmi a ritornare da te.... guardati bene! — E lì il birbone venne alla giovinetta: — Isolina La Roche — disse — ti arresto! — e allungò la mano su lei. — Largo! voi puzzate di vino — disse arretrando la tosa. — Aristocràta! — vociò il canagliume. — Così, ne fu condotta via un’amica: ed allorquando suora Clotilde, uscita dietro Isolina, rincasò verso l’Ave-Maria, a noi che chiedevamo: — c dùnque? — venne solo risposto: — pregate. — S’andava chiudendo la sera. Prima di coricarci, noi usavamo entrare in una stanza dedicata al Signore. Peraltro, non vi si vedea nessunìssimo segno della nostra salute. A mezzo allora di gente, la quale «imponeva» la libertà del pensiero, tai segni, o per paura o pudore, si nascondèvano. Noi li portavamo nel cuore. E l’oratorio dava sur una viuzza perduta. Quando splendeva la luna, non vi si accendòvano lumi. Quella sera, splendeva la luna. Le suore s’inginocchiàrono senza dire parola; intorno di esse, noi; e pregammo. Gemea la calma notturna. Per chi pregavamo, tu sai. Ma, a un tratto, suono di vetri spezzati; e, a terra, il tonfo di cosa morta. E un grido: «vive la répu- blique ! » — Balzammo in pie’ sbigottite.... Dio! Sul pavimento giaceva tagliata una mano, bianca, ornata ancora di anella.... — Basta ! — (pii esclamava Albertino, serrandosi all ava. K rimaneva pensoso il resto della giornata. A notte, sognava e mani e mani spiccate, sotto il chiaro di luna, clic gocciola vano sangue, fine, bianchissime, inanellate di topazi e smeraldi.