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CAPITOLO DECIMOQUARTO |
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la. E il disgraziato, riempiuto di stregghie e
gualdrappe, di cavezze e stivali, dovea dormire
nelle rimesse, invidiando il compagno e le sacche, portate sopra in istanza, e più che tutti,
una certa borsetta con su un cagnolino in ricamo che la padrona mai non lasciava. La
quale borsetta, poggiàvasi ora contra il grosso
baule ; il cagnolino era quasi sparito, difeso
invano dal pepe.
E, dietro a costoro, uno corto, a volta, peloso, mangiato mezzo dai topi. Esso avea servito
il canònico Sisto, ' prozìo paterno di Alberto.
Puzzava ancor di caprino. E, più di una volta
e di due, avea fallo il viaggio di Roma (per
ordir qualche male, s’intende) a triplo fondo e
a segreti, come il padrone. Tutto al contrario
di quella cassa-baule verniciata in celeste del
capitano Pisani, spensierata e mai chiusa, come
il cuor di colui ; ora, zeppa di roba, nuova, fiammante; quando.... tàbitiis rasis.
Poi — se ne vedèan ben allri, servi fedeli,
amici della famiglia. E il lungo e stretto baule,
il quale insieme a Nicola, cugino del capitano,
avea passalo Ire anni nei Barnabiti e gli avea
nascosto i dolci e i romanzi.... per rincasare da
solo ! e il cassone foderato in velluto del ciambellano Elclrèdi, padre di donna Giacinta, che
rinchiudeva chincaglierìa di Corte e livree, e
che scampava la vita ad un Conlardo Pisani,
altro prozìo di Alberto, il quale usava firmarsi Cajus Cai pumi us Piso, e agiva da tale ; poi,
tanti altri, e casse e bauli e valigie, screpolate
e sdipinle, il cui ricordo era ito, ma tulli cari,
già un tempo, all’èsule e al viaggiatore, come
porzioni della casa natia. E astucci senza posale, e cappelliere senza cappello.
Che compagnia, eh ? — disse Paolino, battendo l’una contro delfaltra le mani impolverate.