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L’ALTRIERI



I mièi dolci ricordi! Allorchè mi trovo rincantucciato sotto la cappa del vasto camino, nella oscurità della stanza — rotta solo da un pàllido e freddo raggio di luna che disegna sull’ammattonato i circolari piombi della finestra — mentre la gatta pìsola accovacciata sulla predella del focolare, ed anche il fuoco, dai roventi carboni, dal leggier crepolìo, sonnecchia; oppure quando, seduto sulla scalèa che dà sul giardino, stellàndosi i cieli, sèntomi in faccia alla loro sublime silenziosa immensità, l’anima mia, stanca di febbrilmente tuffarsi in sogni di un lontano avvenire e stanca di battagliare con mille dubbi, colle paure, cogli scoraggiamenti, strìngesi ad un intenso melancònico desiderio per ciò che fu.

Io li evòco allora i mièi amati ricordi, io li voglio; li voglio, uno per uno, contare come la nonna fa co’ suòi nipotini. Ma essi, sulle prime, mi si tìrano indietro: quatti quatti èrano là sotto un bernòccolo della mia testa; io li annojo, li stùzzico; quindi han ragione se fanno capricci. Pure, a poco a poco, il groppo si disfa; uno, il men timoroso, caccia fuori il musetto; un secondo lo imita: essi cominciano ad uscire a sbalzi, a intervalli, come la gorgogliante acqua dal borbottino.

Ed èccomi — a un tratto — bimbo, sovra una