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28 l’altrieri

azzurrando, ci ammiccava più delle allre: Lisa, pigliatomi la mano (quanto la sua era fredda, màdida! quanto la polseggiava!) fissò intensamente lo sguardo nel diamante celeste.

— E.... e il mio canarino? — chiese la poveretta, a sbalzi, con pena.

Restài senza sangue.

In questa, il raggio lunare, passando tra ramo e ramo, colpì diritto su lei, l’avviluppò Come ne era smorta la faccia, come affossati gli occhi!

— Ah! — fece essa, liberando la sua dalla mia mano e distendendola convulsa. — Ec....

co.... lo.... — \ggrovigliò tutta; sbigottita, ritrasse la palma. E una turchina orlatura tinse le sue pàllide labbra. E cadde sulla spalliera della sedia.... Addormentala?

Un grido; il imo: un altro — lamento da ferita pantera — risuònatio. Facendosi strada per il cespuglio, il marchese precipita presso la bimba.

— Vive! — fà egli 111 tuono, non giurerei se di gioja o di angoscia — vive ancora....

E incerto si guarda attorno. Ma è un àttimo; abbranca il sedile di Già ed essa con quello — essa le cui braccìno spenzoli a no pesantemente: poi — tiene verso la casa. Io ni attacco a suoi panni, gli corro ili pari.

Amici, amici, qual notte!

Dalla salelta «love mi stavo, muro a muro colla càmera in cui il marchese avèa deposto sua figlia, udivo lo scricchiare degli stivali e n 7 n degli intavolati, i pispigliamenti, il cigolar degli armadi, il frusciare della sèrica gonna ili mamma che passava e ripassava. E scòrsi nc c tenebre rosseggiare i carboni di uno scaldaletto on aperto, e scòrsi, come io cacciava il capo dentro lo squarcio della vicina porta, sulla parete Lisa