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48 Il Giobbe

     Dell’ultimo suo nato, a cui la parte
     Miglior serbava del materno affetto,
     940E l’uscir dello sposo e le sommesse
     Voci di Zare e il sussurrar de’ servi
     Le turbavan di strane ombre la mente.
Non appena de’ suoi Chèdar s’avvide,
     Usci loro a rincontro; al padre innanzi
     945Chinò il bel capo, e fisso gli occhi al suolo
     La sua voce attendea. Le braccia eresse
     Il venerato Patriarca, al cielo
     Volse la fronte, e: Chi può far contesa
     Con l’Eterno? esclamò: sull’arduo monte
     950Pone all’aquila il nido, entro la terra
     Schiude il covo al serpente; ei sul granito
     Radica ed alza il padiglion del giusto,
     Dell’empio i tetti ei dà ludibrio a’ venti;
     Egli esalta, egli umilia. Al suo sorriso
     955S’apre il sen della terra, e mette i fiori;
     Alla dolcezza della sua parola
     L’alma serenità sul mar veleggia;
     Come spose alla prima ora d’amore,
     Al suo cheto venir treman le stelle.
     960Ma se negli occhi suoi l’ira lampeggi,
     La terra ima traballa, al suo cospetto
     Cadon prostrate le montagne, mugola
     Come tauro ferito il mar vorace,