Pagina:Opere inedite o rare di Alessandro Manzoni, volume III, 1887.djvu/149

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lettera a antonio rosmini 139

Avendo poi dovuto metter mano alle correzioni della Morale Cattolica, mi sono pur troppo accorto che queste non pote vano essere semplicemente tipografiche; ed eccomi ingolfato in un perpetuo e minuto lavoro. Se fossero i bei giorni che ho passati in vicinanza di Stresa, Le parlerei de’ vari impicci che ci trovo, e delle difficoltà che ho bisogno d’affrontare, senza la speranza di far bene davvero; ma non voglio aggiungere a questa lettera delle lungaggini non necessarie. Le dirò solamente che questo lavoro m’ha stornato anche dal pensare al dialogo che disegnavo, e ora devo, per dir così, rifarmelo in mente per dargliene un cenno. Il qual cenno non ha altro fine che di sentire da Lei se il fondamento ci sia, e d’essere avvertito degli spropositi che avrei potuti mettere anche sul fondamento bono. Ma questo, s’intende, con tutto suo comodo, principalmente in un momento che il suo tempo così prezioso sarà probabilmente occupato nella cura di difendersi dai novi assalti d’una instancabile animosità. Chè, senza arrogarmi d’esser giudice in materie superiori alla mia cognizione, la volontà di pervertire il senso naturale delle proposizioni (oltre l’alterazione del testo, come il cambiar le fiamme in Grazia) si manifesta in tanti luoghi così subito e all’evidenza, che non ci vuole teologia, ma basta la logica più comune per avvedersene e esserne certi.

Il dialogo sull’unità dell’idea, se mai mi trovassi nella vera o falsa fiducia di poterlo fare mediocremente, potrebbe avvenire tra i due interlocutori dell’altro stampato: la fretta di Secondo che non vorrebbe passare per un lungo studio, per arrivare alla soluzione della questione già voluta proporre da lui, potrebbe somministrarne il pretesto. Ma, con l’intenzione già manifestata di studiare insieme, il dibattimento tra que’ due non si potrebbe continuare in altri dialoghi, senza stiracchiamenti. Introdurrei dunque un Terzo, il quale avendo letto di fresco l’opuscolo del Verri sull’indole del piacere, ne parlerebbe al Primo, per sentire cosa ne pensi (il Secondo potrebbe essere assente nel primo momento, e arrivare quando la discussione è già avviata). Il Primo, al legando d’aver letto l’opuscolo una volta sola, e da un pezzo, ne farebbe parlare l’altro. Si passerebbe in fretta e d’accordo sull’inconcludenza della definizione del Verri, che pone l’essenza del piacere in una negazione. Di qui l’adito a cercare cosa sia positivamente. Il Terzo metterebbe in campo, senza però mostrarsene persuaso, le definizioni citate e confutate dal Verri, su tre delle quali si passerebbe ancora brevemente. Il Primo si fermerebbe un po’ più sull’ultima che è di Maupertuis: Il piacere è una sensazione che l’uomo vuole piuttosto avere che non avere: definizione che, secondo il Verri, non è tale che in apparenza, perchè è quanto dire che il piacere