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piante, senza disegno alcuno di architettura, addossato all’ala del castello come un ripiego posticcio e non bello.

Quando Tatiana v’entrò, il calore della stufa e l’umidità aromatica delle piante le tolse quasi il respiro; istintivamente, parendole per la trasparenza delle vetriate di essere all’aperto, riparò sotto una manica la vaschetta della candela. I sassolini dei viali, fra i vasi, stridevano sotto il suo passo. Tatiana non degnò la serra nemmeno di uno sguardo, non vide alcune piante mostruose, dai rami, che parevano braccia stese verso di lei; non badò ai bagliori bianchi di certi fiori, al silenzio anelante, che opprimeva tutta quella folla vegetale.

Arrivò difilata all’usciolo chiuso dall’interno, e l’aperse.

Loris, nascosto da due ore dietro un grosso abete, entrò con un buffo di aria così rigida che quasi la rovesciò; egli stesso rinchiuse la porticina. Tatiana, senza parlare, risalì alla propria camera. Quella freddezza le era venuta da un subito senso di sconvenienza aristocratica, ricevendo così, a quell’ora e a quel modo, colla viltà di un sotterfugio l’uomo amato.

Ma appena nella propria camera la confidenza le tornò.

Loris aveva la faccia livida e chiazzata pel freddo sofferto; sul bavero della pelliccia il suo alito si era congelato in sottili cristalli. Tatiana gli si ap-