Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/111

Da Wikisource.

ero rifatto, poi ho finito col perderne settantacinque. Ceniamo insieme?

Non si era ancora seduto. Era un giovanotto piccolo, brutto, coi baffi a spazzola, la testa rotonda e già calva, che mostrava indifferentemente, giacchè si era tratto il cappello per asciugarsi il sudore, rimanendo così a capo scoperto; un tic nervoso gli faceva di quando in quando scattare le dita della mano destra.

— Tu non ci pensi dunque? — insistè ancora Romani.

— A che cosa serve il pensarci?

Non c’era altra filosofia nella vita: sciaguratamente non bastava, perchè giungeva il momento di dover pensare per forza. Finirebbe così anche colui? Istintivamente rispose di no, conoscendolo troppo bene per supporlo capace di un simile sforzo. Tuttavia in quel momento, per una specie di giustizia che si sentiva dentro, avrebbe avuto bisogno di credere che per lui pure sarebbe venuta quell’ora insopportabile di espiazione.

Quindi n’ebbe come uno scatto violento.

— Te ne vai? chiese l’altro, vedendolo alzarsi.

— No, debbo fare una lettera.

— Va’ dentro nella sala a scriverla: ti aspetto qui.

Infatti qualche cosa bisognava che scrivesse. La prima idea fu di rivolgersi alla zia Matilde per raccomandarle i bambini; non voleva dir altro, non ne sarebbe stato capace. Si era messo all’ultimo tavolino presso la porta, che dava nella seconda