Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/119

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piene di popolo avevano una ondulazione di marcia sotto la notte imminente.

Egli aveva oramai finito quel giorno.

Le campane della sera disperdevano il proprio gemito nel silenzio delle lontananze, come un’invocazione saliente dalla terra dinanzi al terrore delle tenebre, che stavano per sommergerla. Nell’agonia di tale fine, che non aveva mai avvertito prima di allora, gli parve che la morte sfiorasse tutte le cose. Quanto era succeduto in quel giorno, non succederebbe più, era già perduto irrevocabilmente dove tutto si perde, ciò che fu e ciò che dovrà essere, perchè la vita non è appunto che una evanescenza, un suono di suoni, un’ombra di ombre vagolanti in un infinito infinitamente remoto.

La sua anima si ravvolse nel lungo brivido di quella solitudine, che solamente il pensiero avrebbe potuto riempire. Poi il crepuscolo si oscurò ancora, le prime stelle spuntarono dalla volta del cielo, mentre per la città si accendevano i primi fanali, fra un mormorio più indistinto di voci, al disopra della folla, che dileguava nella oscurità delle strade.

Ma le stelle crescevano sempre nel cielo opaco, troppo grandi e troppo vivide perchè la notte potesse appannarle: miriade di mondi viventi di un’altra vita inesplicabile alla nostra, malgrado tutte le rivelazioni della scienza e della fede.

Che cosa c’era lassù? Più alto di lassù?

Dio?

Un minuto dopo la morte, questa domanda sarebbe ancora possibile?