Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/120

Da Wikisource.

Egli soccombeva all’umiltà di un annichilimento finale. La sua volontà si era disciolta al pari di ogni altra cosa nell’ombra, come in un ritorno alla primordiale indeterminatezza dell’essere; non soffriva più. Persino quest’ultimo dubbio, balenatogli più in alto, oltre lo splendore delle stelle, si era spento con tutto quanto moriva intorno a lui, nella dissoluzione della notte. Che importava il motivo della morte, quando bisognava morire?

Il medesimo silenzio penetrava in tutti i cuori, la stessa ombra in tutte le teste: non si poteva essere immortali; perchè noi pretendevamo dunque di esserlo?

Vi era differenza nella morte? Che cosa era il suicidio? Si muore di tutto, tutti si suicidano, giacchè ogni gioia troppo intensa, ogni dolore troppo acuto ci costa forse un giorno: qualunque opera ci toglie quella parte di noi stessi, colla quale la compimmo; i nostri figli sono i nostri parassiti sino al giorno che, non potendo più nutrirsi di noi, ci abbandonano per soccombere altrove. In qualsivoglia momento la morte è sempre la stessa: un terrore, un’angoscia, e la soffocazione in fondo. Non ci si pensa, perchè tutte le idee adunate intorno alla morte, paradisi, inferni, non riproducono che teatralmente il nostro oggi sullo sfondo di una notte senza domani.

Quando l’ora della morte è suonata bisogna rassegnarsi: non è sempre così davanti a tutte le difficoltà della vita? Si chiudono gli occhi, e si ingoia il bicchiere dell’olio di ricino, come fanno i bambini.