Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
ottone, continuava quel sommesso borbottio dei due becchi cadenti sugli abbeveratoi di marmo candido, posti l’uno di contro all’altro fuori della cancellata.
Il cielo era oscuro, con poche stelle; e una nebbiolina, ancora diafana, inumidiva l’aria non abbastanza riscaldata dai primi tepori della primavera. I tre rimasero alcuni secondi ritti dinanzi al caffè.
— Perchè non facciamo due giri di loggia? — disse l’avvocato Guglielmi, che aveva questa abitudine, comune del resto a quanti della città non rincasavano presto.
Quel portico del caffè Gritti e quella loggia sinistra della piazza, che formava come la facciata del palazzo municipale, erano il passeggio favorito di tutti i signori. Nella notte i più sfaccendati, anche dopo la chiusura dei caffè e dei clubs, seguitavano per ore, talvolta sino all’alba, quando le ortolane disponevano già i banchi e le ceste per la piazza, ad incontrarvisi in gruppi, promettendo sempre di separarsi dopo un ultimo giro, e non di meno prolungando la monotona passeggiata con ostinazione quasi inconsapevole.
Forse non avrebbero saputo fare egualmente tardi altrove.
— Tre giri soli, — rispose Gaudenzi, un impiegato al telegrafo sulla cinquantina, venuto da Milano molti anni addietro e diventato quasi della città.
L’avvocato Guglielmi si pose in mezzo.
Era un vecchietto arzillo, con troppe pretese per la sua levatura; e in quei giorni aveva ceduto ad una delle solite esaltazioni per la lotta elettorale fra moderati e radicali.
Egli credeva in buona fede di essere fra questi, mentre invece il temperamento e la vita lo avevano