Pagina:Oriani - Vortice, Bari, Laterza, 1917.djvu/69

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Poco dopo, sognava.

Le raffiche della pioggia si schiantavano sempre più violentemente urlando nell’aria sotto un cielo nero. Come mai si trovava egli solo nella campagna deserta a quell’ora? Non conosceva la strada, non si vedevano più case attraverso il velo pesante dell’acqua. Era rimasto immobile, rannicchiandosi timidamente sotto la bufera, col ricordo confuso di non essere diretto molto lontano, ma senza poter nemmeno tenere gli occhi aperti, perchè le goccie vi battevano contro dolorosamente.

Anzi per qualche tempo, colle mani nelle tasche dei calzoni, e l’acqua che dalle cuciture del cappello gli colava giù per il viso, si era abbandonato a piangere. Un pianto amaro e silenzioso gli era uscito dagli occhi, mentre collo sguardo incerto cercava di seguire una barchetta di carta azzurra, galleggiante sul fosso della strada e che ne discendeva il pendio, senza che i goccioloni sembrassero toccarla. Forse un fanciullo si era divertito nell’affidarla alle acque per una vaga reminiscenza del diluvio universale, quando gli oceani si congiungevano alle cime dei monti e l’arca sola errava sul mondo sommerso. Infatti la barchetta si dondolava appena, come nella letizia del temporale, serbando nella soavità cilestrina del proprio colore tutto il sorriso del cielo. E improvvisamente egli vi scorse dentro il cavallo di Carlino, quello medesimo che dormiva sdraiato sopra una sedia nella saletta da pranzo; ma adesso invece era dritto, malgrado la gamba davanti rotta sotto il ginocchio, e il vento gli sollevava di dietro il pennacchio della coda fatto con sottili setole bianche da spazzola. Dove andavano quella barca e quel cavallo? Quale comando