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della Bistritza, preti di villaggio e monaci (mezzo contadini anch’essi) di piccoli monasteri sperduti nel Verde dei boschi, è addirittura insuperabile. Meno bene riesce nel ridar l’animo della piccola borghesia moderna, che, probabilmente, gli è antipatica. Ma dove riesce grande addirittura, di una grandezza che raggiunge la solennità austera dell’epica, è nell’interpretazione sentimentale del paesaggio romeno. «Nel bosco dì Pietriscior», dove si descrive l’agonia di un capriuolo nella quiete tragica del tramonto, rotta soltanto dal gorgogliar dell’acqua tra le pietre, mentre nel cielo cominciano a spuntar timidamente le stelle, è un piccolo capolavoro degno di appartenere alla letteratura mondiale, non solo a quella romena. Recentemente ci ha dato un altro capolavoro nel romanzo intitolato «Baltagul» (La scure), già tradotto in italiano e d’imminente pubblicazione.

Riportiamo la fine dello splendido bozzetto contenente la morte della capriola:

Il silenzio s’era diffuso. L’abbaiar dei cani tacque lungo tempo. Intanto la capriola fuggiva come incalzata dal terrore tra i cespugli fitti e le radure brevi, allontanandosi in direzione del ruscello. Un attimo si fermò tremando come se fosse sull’orlo di un precipizio... Poi, rallentando la fuga, si aprì una via verso l’acqua tra il frondame. Coi piedi anteriori nel letto del ruscello e quelli posteriori sulla sponda, si fermò. Il grazioso manto grigio le brillava bene nell’ombra: sólo la testa fine, dagli orecchi ritti, dagli occhi grandi, era nel sole. Stette un attimo in ascolto. Poi chinò il musetto e lambì l’acqua davanti alle gambe sottili. Alzò gli occhi. Nell’acqua limpidissima cadde una goccia di sangue. La gamba anteriore di sinistra si contrasse leggermente e cominciò a tremare. Dalla spalla le correva un filo di sangue appena visibile. Ora, a goccia a goccia, il sangue cadeva nell’acqua sempre più spesso, arrossandola. La capriola chinò lentamente la testa come se volesse specchiarsi nell’acqua intorbidata dal suo sangue, colla metà anteriore del corpo in atteggiamento di riposo. Poi ebbe come un gemito impercettibile e girò il musetto nero verso la macchia di sangue della spalla. Rimase ferma così. Di tanto in tanto si chinava verso lo specchio dell’acqua. Di tanto in tanto un brivido le faceva contrarre il manto grigio. E lontano, dietro di lei, risonava il corno e, debole, fioco, giungeva l’abbaiar dei bracchi.

Si trasse indietro verso l’erba della proda, mise gli occhi all’ombra. La luce cadde solo sull’acqua. Si lasciò cadere sul molle tappeto. Di tanto in tanto girava il muso verso la ferita che sanguinava. Ma per la medesima strada per cui era venuta, apparve un capriolo impaurito, coi cornetti diritti. Vicino ad essa si fermò. Allungò il muso e la fiutò. La capriola muggì debolmente, tanto debolmente che a mala pena s’udì, come se gli dicesse qualcosa di triste, e levò il muso verso il capriolo. Il corno da caccia risonò di nuovo alle loro spalle sotto le arcate verdi che ne ripeterono il suono: il capriolo si riscosse, saltò svelto oltre il ruscello e disparve nel fitto.