Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/149

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Come se l’avesse presa un brivido di terrore, la capriola s’alzò ed entrò di nuovo nell’acqua. Zoppicando leggermente, solo con tre piedi, si allontanò in salti corti, lenti, risalendo il ruscello a monte. Camminava in salita e gocce di sangue scivolavan lungo la gamba sinistra e si raggrumavano in ciocche rosse. Intorno, gli alberi stavano immoti; ciuffi di felci, sulle prode, si piegavano al suo passaggio e poi si raddrizzavan di nuovo, ondulando; una cincia stridette un po’ sopra di lei sui rami alti, poi disparve chi sa dove.

Il tempo passava. Un alito di frescura cominciava a farsi sentire di tanto in tanto. Dalle bassure il sole si ritirava verso le vette degli alberi; qualche pioppo dalla scorza cinerea a mala pena dondolava i rametti sottili e faceva tremolar le foglie delicate, che risplendevano svariando, or verdi, or bianche.

La capriola risaliva il ruscello, verso l’altura. A destra e a sinistra le sponde diventavano sempre più alte. Le onde scorrevano sempre più rapide, mormoravan tra le pietre aguzze, rimbalzavano frangendosi in spruzzi d’argento. La capriola posava di pietra in pietra gli zoccoletti neri come l’ebano, e saliva piano, mentre lungo la gamba le scorreva un filo di sangue caldo. In alto, sulla vetta, s’ergeva, solenne nel cielo azzurro, l’abete annunziatore dei venti. Più in basso, in una conca rocciosa, l’acqua del ruscello ristagnava in un laghetto limpido. Cadeva tremolando, scivolando sul musco che copriva le pareti rocciose, si calmava, si disperdeva, si allargava di nuovo calma in uno specchio che rifletteva il cielo e le chiome luminose delle betulle, poi radunava di nuovo i suoi rivoli d’argento e continuava a scorrere, scivolando lentamente a valle con un murature canoro.

La capriola si fermò tra le betulle nell’erba alta, mentre un fresco alito di vento cominciava a spazzare i profumi ancor caldi dei fiori selvatici. La sua testa dagli occhi neri, tristi, apparve a un tratto nello specchio dell’acqua, verso la sponda. Si lasciò cadere a terra, stanca, colle forze esaurite. Se ne stava muta, cogli sguardi fissi nell’acqua, nel silenzio solenne della selva. Sembrava che ascoltasse, che pensasse, e di tanto in tanto era percorsa da un brivido che le correva sotto la pelle.

L’ombra cresceva intorno a lei. Le luci delle cime si spensero. La selva aveva di tanto in tanto dei fremiti rari, dopo i quali seguivan momenti di calma, un silenzio come di luoghi misteriosi, di un altro mondo. E la capriola era sola; e il sangue le scorreva dalla ferita nell’erba molle della sponda. Chinò una volta il muso riarso verso lo specchio dell’acqua, poi rimase immobile. Dalle immense lontananze giungevano le vibrazioni melanconiche del corno da caccia, sempre più lontane; l’abbaiar dei bracchi era cessato; la sera era scesa rapidamente; attraverso l’abete della vetta passò come un sospiro pietoso. Nella calma del crepuscolo, sul cielo oscuro del fondo del ruscello cominciò a tremolare la lagrima d’oro della prima stellina. La capriola emetteva a tratti un muggito che s’udiva appena e gli occhi le brillavano tristi in quell’ultimo chiarore del tramonto. Così se ne stava sola e moriva sotto le chiome delle betulle dai tronchi d’argento.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Octavian Goga (n. 1881) è il solo poeta che abbia dato la corrente «seminatorista», che, se nel dominio della prosa riuscì a valorizzarsi in valori positivi, in quello della poesia, come ben nota il Lovinescu, rappresenta un’epoca di decadenza.