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Più — 374 — Pla

familiarmente dicesi empiastro. Gr. [testo greco] = ciò che è sopraposto. V. ciò che è detto alla voce Schiampa.

Più meglio: «basterebbe, certo, meglio; ma il popolo in meglio non ci sente più tanto il senso comparativo. Così è: le parole si logorano come le monete». In tal modo annota il Pascoli in una postilla in Fior di fiore. Credo abbia torto non nello spiegare, ma nel giustificare l’errore.

Più vero e maggiore: locuzione per lo più usata in senso beffardo, formatasi dai versi del Carducci nella - forse - inopportuna Ode Alla figlia di F. Crispi.

               Quando novello Procida
               e più vero e migliore, innanzi e indietro
               arava ei l’onda Sicula.
                         Alla figlia di F. Crispi.

Per la storia del motto, tanto era in quel tempo (1895) l’odio e la fazione contro il Crispi che, cosa incredibile, molti italiani si ricordarono della grammatica e accusarono il Poeta di un più maggiore o più miigliore che fosse: da ciò — forse — la popolarità del motto.

Più chiare e maggiori,

dice Dante parlando delle stelle. Purg. XXVII, 90.

Pivello: voce lombarda ed emiliana «tra noi modernissima che pare tratta dal Puellus de’ Latini» (Cherubini): dicesi di giovincello pretensioso per petulanza ed eleganza. In dialetto romanesco, pivetto = ragazzino.

Pizza: nome volgare di una vivanda napoletana popolarissima. Consiste la pizza in una specie di sfoglia o stiacciata di farina lievitata moltissimo. Cosparsa di pomidoro, formaggio fresco, alici, etc., a piacimento del cliente, mettesi al forno dove gonfia e cuoce lì per lì. Se ne fanno anche di dolci e finissime. Anche in altre parti dell’Italia centrale pizza è sinonimo di torta, ma non dolce.

Pizzardone: voce romanesca, la guardia di città (da pizzarda = beccaccino: allusione alla feluca in punta. Cfr. in milanese capellon, dalla tuba già usata dalle guardie municipali; la Gondoleta, a Venezia; La si decida a Firenze).

Pizzicato: «modo di suonare uno strumento a corde: queste vengono fatte vibrare col polpastrello della parte superiore del dito. Odiernamente il vocabolo, sostantivato, esprime pure un pezzo di musica». (A. Galli, op. cit.).

Pizzicarolo: voce romanesca: in toscana pizzicagnolo. V. Salsamentario.

Pizzico magnifico (pagare a): pagare a riprese, a volontà del debitore e senza norma di quantità e di data. Nel Veneto dicesi a pizego magnifico.

Pizzighino: specie di tresette in due. V. Terzilio.

Pizzutello: nome volgare di un’ottima uva da tavola, di buccia consistente, di polpa carnosa con acini lunghi. Il Lazio ne è il maggior centro di produzione.

Placard: fr., affisso, tabella.

Placer: parola americana, trasportata nell’inglese, giacimento aurifero.

Placet: (si prega di non pronunciare) placét essendo voce latina e non francese = piace). È la accettazione da parte della autorità civile del disposito della autorità ecclesiastica alla collazione di un determinato beneficio (minore). Questo placet (o regio placet) ha per effetto l’immissione in possesso dei beni materiali inerenti al beneficio stesso, necessari all’esercizio di detto ufficio. È in altri termini ciò che è l’exequatur, se non che questo è pei maggiori benefici.

Placidi tramonti: V. I placidi tramonti.

Plafond: V. Plafone.

Plafone: con tal brutto suono talora in Milano fanno italiana la voce dialettale plafon, dal fr. plafond, derivato a sua volta da plat e fond. È il soffitto o soppalco o stoiato fatto di cannucce intonacate di calce, che nell’architettura cittadina ha sostituito il lacunare e gli stucchi delle antiche architetture regali.

Plagas (dire): locuzione familiare: vale dir male, inveire, etc. Cfr. dire vaca e V. Raca.

Plaintif: per lagrimoso, lamentevole, è voce francese abusivamente usata.

Planche: fr. tavoletta.

Plancia: dal fr. planche, basso latino planca, in ispagnuolo plancha. È voce usata nel linguaggio delle caserme per indicare l’assa dove i soldati depongono i loro arnesi. Nel linguaggio dei giornali trovo spesso plancia nel senso di ponte delle navi.