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ritto elettorale dalla legge del 1848 possono dirsi in armonia coi principii che informavano il sistema di amministrazione comunale e provinciale creato da quella legge, egli è pur ov» vio lo scorgere che, mutandosi il sistema stesso, vogliono pure esse basi ed esse condizioni venire correlativamente mo- dificate.

Nè ci rattenne lo specioso sofisma che suole venir messo in campo da chi teme od stia ogni allargamento degli ordini civili e politici, che cioè quanto cresce la importanza delle attribuzioni, d’altrettanto si fa maggiore il bisogno di capacitá e di garantia ; e che per conseguenza la compartecipazione alla amministrazione deve di tanto essere piú ristretta di quanto s’è, per quelle cause, fatta piú difficile.

Sofisma specioso, ma sofisma pur sempre, il quale logica- mente ci ricondurrebbe al dispotismo od almeno alla oligar- chia, la pessima fra tutte le forme di Governo.

L’amministrazione, vuoi della provincia, vuoi del comune, ma di quest’ultimo in ispecie, ha un carattere suo proprio, ed esso carattere ci somministra appunto il criterio p’ú limpido, piú sicuro in cotesta ardua e spinosa materia elettorale.

Il comune, amministrativamente parlando, nulla ha di po- litico, ma è una amministrazione di interessi locali, e, a cosí dire, dî famiglia. Come tale, è ovvio lo scorgere chi possa aver fitolo d’ingerenza in questa amministrazione, chiunque cioè vi sia interessato, chiunque partecipi a questi interessi locali.

La capacitá è sempre, fuor di dubbio, ia condizione indi- spensabile dell’esercizio di qualunque diritto; ma, dacché esiste in una persona lo interesse, esiste nella medesima la presunzinne di capacitá, che dura finchè non l’abbia esclusa la prova contraria. Ù

Infatti, per quell’umano istinto il quale sollecita ciascuno di noi a tutelare e promuovere il proprio benessere, avviene che chiunque ha un interesse senta il desiderio di vederlo efficacemente protetto e secondato. E siccome, d’altra parte, ciascuno è giudice esclusivo del proprio bene, cosí mal si comprende come si possa combattere la libertá in nome del benessere individuale, come cioè si possa pretendere di esclu- dere a titolo di incapacitá dall’amministrazione del comune la maggioranza degli interessati per tenerli perpetuamente sotto la tutela di una minoritá che si proclama di propria au- toritá sola intelligente del vero bene degli amministrati e sola capace di attuarlo. i

E qui appunto sta la grande differenza fra gli interessi me- ramente amministrativi, locali e gli interessi politici, gene- rali; fra il comune e lo Stato.

«Il comune è il risultamenfo naturale della coabitazione di piú famiglie sopra una stessa frazione di territorio, Il solo fatto della prossimitá loro crea prontamente una serie di rap- porti molteplici, i quali, quand’anche non intervenga alcun patto speciale ed esplicito, bastano da soli a creare una soli- darietá di interessi, che è vincolo piú forte e piú efficace di qualunque convenzione. E la etimologia medesima del vo- cabolo impiegato a designare questa primitiva aggregazione

(comune, communio) significa la comunione di interessi, di -

tendenze, di cure, di opere, ingenerata dal consorzio delle famiglie che la costituiscono.

«Lo Stato esiste anch’esso in ragione ed a vantaggio del- l’uomo, e cosí per il benessere degli individui che lo com- pongono, ma il suo modo di agire è ben diverso, perchè non sono, propriamente parlando, gli interessi personali che esso deve proteggere, ma sí gli interessi collettivi; non è il benes- sere locale che esso deve promuovere, masí il benessere ge- nerale, non è insomma un mero enie amministrativo, ma in-

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vece una persona politica. Epperò, se egli è vero che il be- nessere generale deve in certo modo esprimere la somma del benessere individuale, egli è vero altresí che lo Stato, e nella sua costituzione e nella sua azione, non può partire da riflessi particolari, ma deve avere per norma e per guida considera- zioni di sfera piú elevata, curando cioè mai sempre gli inte- ressi generali, e trattando e risolvendo le questioni al punto di vista complessivo, transigerdo anche, se cosí occorra, sui desiderii o sugli interessi presenti in ragione del’avvenire.»

Queste capitali differenze fra l’amministrazione e la po- litica non consentono che un medesimo criterio compia io stesso ufficio, e per conseguenza le condizioni di capacitá sono diverse nell’una e nell’altra ipotesi, e ciò che è bene in una può essere male rispetto all’altra.

Quindi è che logicamente patrocinasi il suffragio largo in materia amministrativa da chi lo restringe invece nell’ordine politico, Perchè ad essere buon elettore politico occorre avere intelletto e dottrina sufficiente per elevarsi al di sopra delle considerazioni personali e locali e immedesimarsi cogli inte- ressi generali dello Sfato; basta invece allo elettore ammini- strativo la cognizione di quegli interessi locali dei quali non può essergli molto difficile lo apprezzamento, giacchè lo toc- cano da vicino e influiscono in modo immediato sull’essere suo.

lí quale riflesso, che da solo basta a rassicurarci sul grado di capacitá che in questa classe di elettori richiedesi, è da considerazioni d’altro ordine corroborato, le quali collimano nel persuadere come non solo si possa senza inconvenienti e senza pericoli, ma debbasi anzi per il maggior bene delio Stato allargare la base elettorale nel comune e nella provincia.

È infatti nel comune la prima scuola del cittadino ; in esso

trova i primi germi dello amore alla libertá e della intelli- genza nello esercizio dei suoi diritti : e lo esercizio del diritto di elettorato è appunto il mezzo piú ovvio, piú facile, piú pronto di iniziarsi alla vita pubblica, e di fare la sia educa- zione pratica, Arrogesi che nelle elezioni comunali ciascun elettore può di leggieri conoscere per se medesimo il candi- dato al quale dá il suo voto; e ad un tempo sente la necessitá di procedere con prudenza e con saviezza nella scelta, perchè sa che le conseguenze ne ricadranno immediatamente sopra di se medesimo, dacchè il suo suffragio avrá influito sulla buona o sulla mala gestione degli interessi locali. - I quali riflessi mentre persuadevano la necessitá di una ri- forma radicale della legge vigente, in quanto alle condizioni dello esercizio del diritto di elettorato, ne tracciavano a un tempo la via. Se cioè il titolo della capacitá per l’esercizio di quel diritto è nell’interesse immediato che abbiasi nell’ammi- nistrazione locale, ragione voleva che anche coloro i quali pagano un’imposta assai tenue fossero riconosciuti elettori, perchè hanno tutti un interesse immediato a che bene si am- ministri il fondo che essi concorrono a formare.

Epperò in surrogazione dell’articolo 9 della legge del 1848 il progetto dichiara elettori tutti i cittadini che compirono i 2% anni, che abbiano l’esercizio dei diritti civili e che pae ghino nel comune da un anno almeno una contribuzione di- retta,

Questa contribuzione viene proposta in una somma tenuis- sima, a tal che può quasi affermarsi che tutti coloro i quali pagano una imposta diretta possano essere annoverati fra gli elettori.

Essa infatti si restringe alla sola somma di lire $ nel mag- gior numero dei comuni dello Stato ; somma certamente assai modica, ove si ponga in riflesso all’estensione delle contribu- zioni dirette.

Volendosi fondare il diritto dell’elettorato sulla base del-