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vates sa un luogo, lontano e remoto, dove è felicità e pace1. Qui il poeta imagina il popolo in un momento di tregua e di resipiscenza. Si domandano, gli infelici, come potranno essere salvi; e quando sanno qual via, unica e triste, di salvezza loro rimanga, gli uni si traggono in disparte non credendo e non ubbidendo, gli altri piangono: piangono quelli che non vogliono seguire il vate nelle isole lontane, piangono quelli che ve lo seguiranno, lasciando la dolce patria condannata. In un’altra poesia, il vate si presenta al popolo nel momento del suo delirio di sangue, e dopo averlo fatto vergognoso della sua bestialità, domanda: è pazzia la vostra, di cui siete inconscienti? o la sentite una forza che vi trascina, una colpa che dovete espiare? A questa domanda, tacciono, impallidiscono, tremano. Sì: è il sangue del fratricidio antico2. Queste due poesie hanno un tono oratorio, quale è naturale di chi fa ᾠδὴν ἀντ᾽ἀγορῆς?3. Sono, per il metro, in quella composizione distica propria di Archilocho, nella quale o un verso più breve è fatto seguire a un più lungo, o versi ed elementi iambici, propri dello scherno e dell’ira, per così dire, viva, sono variamente accostati a versi ed elementi dattilici, propri di sentimenti e di memorie d’un tempo che fu. La prima ha i distici composti dell’esametro e del trimetro: dopo la grave contemplazione fatidica, il rapido fulmineo grido d’orrore, di sdegno, d’allarme. La seconda è di trimetri e dimetri iambici, distico che l’autore predilesse: dopo l’espres-

  1. Iambi [Epodon] I [XVI].
  2. I. [Ep.] II [VII].
  3. Solon Salamis 1, 2.