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la poesia lirica in roma 137

sione tragica o comica, il singulto o la risata. L’esametro e il trimetro della prima hanno qualche traccia di Catullo: due degli esametri sono spondaici, però in nome proprio; i trimetri sono di iambi puri, come nel Phasellus che piacque tanto anche a Virgilio. E altro ancora fa vedere che il vates ha letto e studiato il poeta. Ma, profittando di ciò che l’uno ha innovato e corretto, l’altro lascia le orme degli Alessandrini imitatori, e ricorre al modello e alla fonte. È nuovo rispetto ai nuovi.

Il vates novissimo è Q. Orazio Flacco. Al principio forse del 713 egli era tornato in Italia, profittando dell’amnistia concessa ai superstiti di Philippi. Poichè si era trovato, tribuno militare, a quella orribile duplice battaglia, nell’esercito di Bruto: era quindi stato vittorioso nella prima giornata, nella seconda travolto negli amari passi della fuga. Cioè no: nel momento critico della battaglia, in cui la fanteria cedè e quindi piegò anche la cavalleria, tra i nemici e i suoi si trovò il giovane tribuno e si salvò come per miracolo: si sentì, come egli poi disse a foggia di simbolo, sollevato in alto con molto suo spavento, e avvolto da una nuvola. Era il dio dei poeti che lo traeva in salvo1. Nato VI idus

  1. Vedi a pag. 185 nota al v. 10 di [II-VII]. Quei versi sono per me pieni ancora di dubbio. Sensi fugam può valere fugi? o non varrà piuttosto «provai le amare conseguenze della fuga degli altri»? E l’abl. relicta.... parmula non dipende egli da fugam, meglio che da sensi? C’è tanta relazione tra fugere e relinquere! Cesare, a Munda, ai suoi che cominciavano a fuggire, diceva: proinde viderent quem et quo loco imperatorem deserturi forent (Vell. Pat. I, 55). Due cose dunque per me sono chiare: qui sentit fugam non vale fugit; qui fugit, non qui sentit fugam, relinquit aliquid o aliquem. Quindi non «reliqui parmulam et fugi»; ma sensi fugam in qua relicta est