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la poesia lirica in roma 171

adulazione quella che sentiva di dovergli lode divina. Aveva veduto i tempi oscuri, il poeta; aveva disperato che si potesse mai riuscire alla pace e all’ordine. Il furore civile era giunto a tal grado di delirio, che il cittadino preferiva il nemico della patria al suo avversario cittadino. Non era morto nelle file dei Parthi, mandatovi da Bruto e Cassio, il figlio di Labieno? Ora vedeva, per esempio, intorno all’Augusto i figli di Cicerone e di Antonio, onorati e soddisfatti. Veramente egli era un dio, un Dionyso che ammansava, un Mercurio che conciliava. Le campagne riavevano i loro coltivatori, le case si riaprivano agli esuli. A mano a mano i nemici che avevano messo in pericolo l’impero, erano vinti e tenuti in rispetto. Che poteva desiderare di più un buon cittadino? Anche le forme della repubblica erano conservate; e sì che di queste doveva importare ben poco a Orazio, figlio di un liberto. Laonde egli con pienezza di cuore cantava, sebbene indirettamente, le glorie di questo grande, ugualmente grande in guerra e in pace. Nel 729, mentre Iulia la figlia si maritava a Marcello il nepote, Augusto andava a debellare i Cantabri, popolo fierissimo dell’Hispania. E Orazio componeva in onore di lui un inno, dalla movenza Pindarica, in quel metro Sapphico cui col primo saggio aveva come consacrato allo stesso eroe. Quando poi tornò, l’anno dopo, vincitore, invita con un’altra ode pure sapphica popolo a festeggiare il glorioso reduce, ed egli stesso appresta il convivium adventicium. La gioia trabocca. Ma al poeta già cominciano a imbiancarsi i capelli, e si ricorda della sua balda giovi-