Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/187

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la poesia lirica in roma 173

fuori insieme prima, e il terzo da sè poi. Senza credere che le differenze siano casuali, noi possiamo ammettere che si debbano a particolare cura o trascuratezza del poeta nel dare l’ultima mano alle poesie che raccoglieva. Quanto all’ode di chiusa, si potrebbe sostenere che anche il libro primo ne ha una: l’invito al puer di non aggiungere nulla alla ghirlanda di mirto; e così il mirto di Venere sarebbe terzo tra l’edera di Baccho e il lauro della Musa. E si potrebbe osservare che togliendo al primo libro il proemio e il detto piccolo epilogo conviviale, le odi sarebbero trenta sei, quanto a dire quattro novene, e negli altri due libri, considerando come un solo carme le sei odi del principio del terzo e conservando l’ultima, che è però la chiusa di tutti e tre, avremmo quaranta cinque odi, ossia cinque novene: nove novene avrebbe dunque messe insieme il vates Qui Musas amat imparis, e chiede perciò Ternos ter cyathos (3, 19). La qual somma meglio risulta levando alle 83 odi (le sei prime del terzo valgono per una) di questi libri, il proemio e l’epilogo. Ma per fare più legittimi questi computi, che sono oziosi per giunta, bisognerebbe essere certi di non contare, tra i carmi d’Orazio, qualche esercitazione o imitazione d’altri. Dedurne l’integrità e autenticità assoluta dell’opera Oraziana, sarebbe strano più che audace. Che però non manchino di base, può essere la prova nel carme sopra citato costituito dalle prime sei odi del libro terzo; in cui le strofe, prese a due a due, come è lecito per la cadenza del senso, procedono, sino alla quinta ode, per novene precedute da proemi (1+9+9+1+9). Checchè sia di ciò, il poeta levava la mano dal