Pagina:Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana I.pdf/239

Da Wikisource.

capitolo quinto 231

costumi del Rosmini e il candore ingenuo delle sue parole, a uso il fra’ Ginepro del Passavanti, in lui non avessero fatto supporre.

Il Rosmini, adunque, che insieme al Marchese Lorenzo Pareto, ambasciatore di Sua Maestà sarda a Roma, rappresentava il Piemonte, monsignor Corboli Bussi che rappresentava il Papa e il commendatore Scipione Bargagli, ministro plenipotenziario e rappresentante del Granduca di Toscana, avevano tenuto diverse adunanze e si erano, alla fine, accordati sopra un disegno di lega1 con cui si stabiliva che «fra gli stati della Chiesa, del Re di Sardegna e del Granduca di Toscana si era stabilita perpetua confederazione, colla quale, mediante l’unità di forza e di azione, fossero guarantiti i territori degli stati medesimi e protetto lo sviluppo progressivo e pacifico delle libertà accordate e della prosperità nazionale; che l’augusto e immortale Pontefice Pio IX, mediatore e iniziatore della lega e della confederazione, ed i suoi successori ne sarebbero i presidenti perpetui; che, entro un mese dalle ratifiche di quella convenzione, si accoglierebbe in Roma una rappresentanza dei tre stati confederati, tre per ogni stato, eletti dal potere legislativo, autorizzati a discutere e stabilire la costituzione federale, avente per scopo di organizzare un potere centrale, esercitato da una Dieta permanente in Roma, la quale dichiarerebbe la guerra e la pace, organizzerebbe i contingenti militari, regolerebbe il sistema doganale fra gli stati confederati, ripartirebbe le quote delle imposte federali, stringerebbe i trattati commerciali e di navigazione, provvederebbe all’unità del sistema monetario, di pesi, di misure», ecc., ecc.

Al trattato potevano accedere tutti gli altri stati italiani: esso doveva essere ratificato dai governi contraenti «entro lo spazio di un mese e più presto se sarà possibile».

Qui, anzi che seguire gli storici di quel tempo, i quali sono inesatti, vuoi per le passioni da cui sono dominati, vuoi per la imperfetta conoscenza dei documenti che furono, nel 1881 soltanto, trentadue anni dopo, cioè, quei fatti, resi noti dai discepoli

  1. Riportato per intero dal Farini, op cit., vol. II, cap. XVI, pag. 336, e dal Rosmini, Commentario cit., parte I, pag. 11 e seg.