Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/65

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so essere il novero di chi conosca o rifletta alla umana mortalità.

P. - Ed io mi credeva d'essere uno dei pochi.

A. - Non voglio già negarti che l'esperienza della vita e la lettura di tanti libri, quella col ravvolgerti fra tante vicende, questa col porti sott'occhio tante sentenze, non t’abbiano di frequente richiamato al pensiero della morte; ma desso non però ti si addentrò tutto nell’animo, nè vi rimase troppo a lungo come dovea.

P. — E che vuoi dirmi con questo addentrarsi nell'animo? parlami più aperto, acciochè possa conoscere, se il mio pensiero s’uniformi al tuo.

A. — Di buon grado. Corre una opiniore nel volgo, la quale è altresì affermata dai più illustri del filosofico gregge, che la morte sia di tutte cose la più tremenda, a tal che a sentirne non altro che il nome, ogni cuore aggeli dì spavento. Ma una passeggera menzione che se ne faccia, o il tenerne discorso soltanto, non basta; che anzi giova intrattenersene a lungo, e con intentissima meditazione rappresentarsi un uomo in sul confine della vita. Guarda com’ei si tramuti nelle membra! gli si irrigidiscono le estreme parti e le mezzane s'infuocano, stilla dalla fronte un gelato sudore, gli palpitano i lombi, il battito del cuore,