Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/66

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all’avvicinarsi dell’estremo punto, s'allenta. Gli occhi infossati ed erranti, lagrimosa la pupilla, raggrinzata e livida la fronte, cadenti le guance, serrati i denti, rigide ed affilate le nari, spumante il labbro, torpida e coperta di squamme la lingua, riarso il palato, pesante il capo, affannoso il respiro. E già gli si aggrava il rantolo, più dolorosi sono i gemiti, esala dalla persona un intollerabile puzzo, e tutte se ne trasfigurano le sembianze. Le quali cose risovverranno di leggieri, e senza durar fatica si presenteranno alla mente di chi avrà con frequenza assistito a scene sì luttuose. Perchè il vedere più vivamente che l’udire, scolpisce gli oggetti nell’animo. Ond'è che non senza savio accorgimento, in alcuna delle più severe religioni, anche de' nostri giorni, dura il costume che i più perfetti assistano al lavacro dei cadaveri prossimi ad esser sepolti; e ciò all’effetto che un tanto triste e miserando spettacolo, ammonisca le menti e i cuori de’ sopravvissuti a non lasciarsi sedurre dalle vane speranze del mondo. — Ed è questa la cosa che io diceva doversiti profondamente addentrare nell'animo, non abbastanza scosso dal quotidiano morire di tanti; perche nè il sentirsi tutto giorno ripetere che, come incerta n’è l'ora così certissima è la morte, ned altri discorsi di simil fatta, hanno potenza da arrestare il volo al pensiero sì che altrove non trascorra.