Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/105

Da Wikisource.

— 99 —

deputati essere atei per rifuggire da una cerimonia così santa. Le cose cominciarono ad imbrogliarsi; le ostilità dichiararonsi. Una nuova formola di giuramento dettata dalla camerilla o dalla camera dei pari, fu mandata all’assemblea; ma, come quella del governo, non facendosi in essa affatto parola della facoltà di rivedere e sanzionare lo Statuto devoluta ai rappresentanti, essi s’indignarono unanimamente e la formola fu respinta come oltraggiosa ed illegale. L’eccellente Pica, per conciliare le parti, ne accozzò un’altra in cui del diritto anzidetto facevasi motto. Mandata a corte, a sua volta, dal re e dai pari fu rigettata. Il ministro Conforti, che i progetti sinistri del Borbone aveva compresi, recossi allora alla Camera e con parole nobilissime la supplicò di passar oltre ad una quistione di forma, e di rivolgere invece il suo patriottismo sul gran fatto dell’indipendenza d’Italia che allora agitavasi, e che doveva dominare nell’atmosfera di tutte le nostre deliberazioni, come voleva lo spirito e l’essenza della situazione. Indi senza circonlocuzioni accusò i rei disegni del re. La giovane Camera, naturalmente suscettibile delle sue prerogative cui vedeva violare fin dal suo nascere, non rassegnossi a portare questo peccato di origine, dichiarando la sua minorità, ed abdicando col primo suo atto. Dall’assemblea alla corte messaggi sopra messaggi andavano e venivano, senza nulla conchiudere, anzi la dignità e la sovranità dei rappresentanti compromettendo. Il re teneva al giuramento ed alla sua formola. La voce della dissensione provocata da un obbietto così cardinale si propagò per tutta la città, e tosto una convulsione morale comprese tutte le classi. Dovunque era un formar di circoli. Nei caffè, nei