Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/106

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crocchi, nelle piazze, i cittadini si arrestavano per interrogarsi, si conoscessero o no; il fremito era generale, completo. I giovani fra gli altri, i radicali, si assembravano per deliberare a loro volta: la patria fu dichiarata in pericolo. Lungo la strada Toledo quanto la città aveva di virile e di nobile si riunì. Stretti in massa, animati da un principio, senza concerto preso, si diressero verso il luogo dove l’assemblea sedeva. E generale della guardia nazionale, Gabriele Pepe, uomo intero, libero, ma oramai di mente infiacchito, alcuni uffiziali superiori della guardia stessa, si opposero all’imponente massa, e la pregarono di sciogliersi, per non riscaldare ed appassionare vieppiù una disputa oramai calda troppo. La scongiurarono in nome della libertà del paese e dell’Italia a non pregiudicare alla libertà di azione del Parlamento. Promisero che tutto si sarebbe dignitosamente conciliato; che l’assemblea non avrebbe corso alcun rischio; che la guardia nazionale si sarebbe messa sotto le armi. A tali assicurazioni una parte di quel popolo cesse e si disperse: ma un’altra, non avendo fiducia in quelle parole officiali, persistette ad andare innanzi, e silenziosamente e dignitosa si accolse sotto i balconi del Parlamento. Quand’ecco la voce si sparge, una grossa colonna di svizzeri da un punto della città, ed uno o più squadroni di cavalleria dall’altro percorrere le strade ed obbligare la folla a ritirarsi. Un grido universale allora si udì: da dentro l’assemblea: siamo traditi! da fuori: viva la camera! coraggio! coraggio! Il comandante della guardia nazionale caldamente impegnato di far battere la generale, si oppose. Parlò di complicazioni inevitabili che sarebbero sorte, di guerra civile,