Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/114

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di fila, ben nudrito dalle linee dei soldati. Le guardie nazionali e i cittadini che custodivano le barricate, e che non domandavano altro che intendersi, per fare unitamente sparire quei simulacri di guerra civile, attaccati così bruscamente, sentirono che la loro situazione cangiava, e cangiava la loro parte. Cedere, oramai sarebbe stata viltà, sarebbe stato darsi per vinti senza combattere, subire la sorte dei vinti senza aver prima perduto. All’attacco opposero la resistenza, al fuoco il fuoco. E la prima vittima che insanguinava il terreno era lo spergiuro colonnello, il quale, colpito sul petto e sulla fronte, soddisfaceva alla giustizia di Dio ed a quella degli uomini. La mischia s’impegnò fieramente. I soldati cadevano per file intere, gli uffiziali sopratutto, che da dovunque erano di preferenza presi di mira. La zuffa durò due ore. Ma i difensori non avevano più munizioni, i più ben provveduti avendo cominciato con otto cartucce; i difensori erano pochi. Coloro che avevano simulata maggior fierezza, i costruttori delle barricate, al primo colpo scomparvero come per incanto. La loro parte era compiuta. Allora si scoprì il vero, ma era troppo tardi: bisognava difendersi e morire. E i liberali si difesero e morirono con un coraggio, di cui pochi esempi s’incontrano nelle storie. Ma che potevano fare senza cannoni e senza munizioni? La fatale bandiera rossa s’innalzò sulla Reggia. I comandanti dei castelli aprirono i plichi e vi trovarono gli ordini di bombardare la città. Castelnuovo obbedì: Castel Sant’Eramo tirò tre colpi in aria ed ebbe rimorso di proseguire. Il general Roberti, che vi comandava, fu di poi destituito. La città così fulminata, i cittadini così sorpresi da un attacco senza