Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/195

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Ferdinando salta sul primo cavallo che trova, e la testa nuda, le vesti in disordine, pallido e sfigurato, delirante di rabbia e di paura, percotendo chiunque gli si para davanti, a briglia sciolta comincia a correre verso i confini di Napoli. La guardia reale che lo vede fuggire, gittati fucili e bagagli per essere più leggera a seguire il re, principia a scappargli dietro. La gendarmeria ed i corpi di linea, scompigliati dall’assalto improvviso, vacillano un istante, ma bentosto si riordinano e prendono a resistere, battendosi in ritirata. Garibaldi che aveva irrotto come una valanga ed era stato ad una spanna per sorprenderli e farli tutti prigionieri, Garibaldi li flagellava sempre e li inseguiva, speranzoso di catturare il re, metter fine alla guerra e decidere i destini di Napoli. Ma questi si era da lungo tempo salvato. Dio aveva diversamente disposto: aspettiamo. I napolitani, facendo sempre fronte, si andarono a chiudere dentro Velletri. Garibaldi li seguì. Sopraggiunta la notte, per far riposare i suoi che non ne potevano più, si arresta e disegna attaccare al domani. Ma i napolitani la notte stessa impagliano i cannoni, sferrano i cavalli, e mogi mogi, lasciando i fuochi nei bivacchi, se la svignarono. All’indomani Garibaldi trovò la città vuota, ed il nemico già prossimo al suo territorio. Quando a Napoli si seppe la fuga oscena del re e dei suoi pretoriani, la gioia fu universale e niuno la celò. Questo inferocì il re guerriero. Il nome di Carlomagno andò in fumo; ma quello di carnefice di Napoli non morrà. Lo spirito di vendetta quindi si unì all’odio, che innanzi lo bruciava, contro il popolo cui è destinato a martirizzare; e le persecuzioni aumentarono: la reazione fu elevata a scienza, la crudeltà ad apostolato.