Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/200

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non aveva altro merito per esser sovrano che sapere la grammatica latina, sotto la ferula di generali, che volevano fare obliare la vergogna delle disfatte con l’arroganza di una vittoria non loro; il figlio dell’arciduchessa Sofia occupò la sua vita ad assentire a stati d’assedii, proscrizioni in massa ed impiccagioni di popoli intieri; e non manifestò neppure la compiacenza di avere a suoi prefetti i sei sovrani della penisola. — La vittoria inaspettata disquilibrò la mente di questi potentati, e sopra tutto quella di re Ferdinando. La legge, l’umanità, la giustizia, la verecondia, come gli stracci spogliati dal povero, furono calpestati freneticamente: non si vide che uno scopo, la vendetta; non si trovò che un mezzo, la violenza e la forza. Disgraziati! stolti! avevano dunque obliato che un giorno Napoleone, l’uomo che della forza aveva fatto sì grande sciupo, aveva detto a De Fontanes che niente nell’universo lo stupefaceva più della impotenza della forza! Re Ferdinando si tolse affatto la maschera. Quel ministero, che era stato strumento di tutti i suoi deliri, fu cacciato via con la disdegnosa ignominia che meritava. Scendendo dalla Reggia, il popolo ed i soldati della guardia accoglievano il Bozzelli ed il Ruggiero con urli, fischi ed ogni maniera di sporche ed impure parole. Il Bozzelli fu quasi per impazzirne: l’altro, esoso a tutti pel suo cinismo, stomachevole al popolo come alla corte, era costretto a fuggire per non dar conto dei danari rubati. — Un nuovo ministero si creò e ne fu affidata la composizione ad un rinnegato della vigilia, Giustino Fortunato. Malgrado la pessima fama di costui, malgrado il suo programma, tutto intero e senza misteri da’ suoi compagni accettato, il popolo ne gioì.