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timo baluardo di libertà che sulla terra d’Italia si levasse ancora; ma essa conservò fin all’ultimo momento il suo stendardo puro, immacolato di rotte, senza neppure oscillare: l’alito austriaco non l’ebbe mai sfiorato, non l’ebbe lordato mai, e lo sguardo di Europa si era per lungo tempo riposato sopra di esso, compiaciuto, quasi attestato della nobile natura dell’uomo, e miracolo di libertà. Una grande eredità di gloria Roma e Venezia hanno aggiunta a quella trasmessa dagli avi alla penisola italiana. Ed alle glorie di Venezia i napolitani reclamano la loro parte. Secondi a niuno, ebbero parecchi che furono primi, come Pepe, Ulloa, Carrano, Mezzacapo, ed innanzi a tutti il Cosenz, il quale al cuore di un eroe unisce il pudore di una fanciulla, e l’abnegazione di un santo. E questa mano di nobili uomini hanno espiato verso la città delle lagune il torto dell’ammiraglio de Cosa, il quale spedito con parecchi legni da guerra dal ministero Troya, dopo il 15 maggio si affrettò ad obbedire all’appello del Borbone, che da quelle acque lo richiamava: ed obbedì, malgrado le promesse solenni fatte ai veneziani e gl’impegni presi. Re Ferdinando, come la scabbia, come la pece, infetta chiunque tocca.

52. Così di pietra in pietra era demolito il portentoso edifizio della rivoluzione europea. L’Austria risorse, e risorse non più donna di provincie, ma bordello, ma consacrazione viva di tutti i delitti che possono contaminare una natura umana perduta. I sovrani d’Italia ricuperarono il potere, ma per esercitarlo sotto il beneplacito del satrapizio croato: riebbero il trono, ma per farne piramide alle statue di Radetzky e di Schwarzemberg. Il figlio della donna di Jellachich, il quale