Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/79

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vano l’esito con proporzioni più o meno piccole, quantunque niuno intravedesse la meschinità con cui la lotta fu terminata. L’ostinazione dei siciliani fu trovata inconseguente ed intempestiva. Inconseguente, perchè essi con la loro fedeltà avevano conservata la sovranità della casa di Borbone, l’avevano ristorata dei loro danari, e per due volte rimandata su Napoli come un flagello di Dio, come la peste: intempestiva, perchè era quello invece il momento di richiamare alla ragione i napolitani, che perfidamente sviavano, ed agir di concerto o a sgabellarsi affatto del principato, o annullarne presso che intera la forza. Se noi fossimo stati uniti, concordi, rassembrati sotto una bandiera, spinti da un principio, re Ferdinando non avrebbe macchinata e consumata quella serie senza numero di tradimenti che han perduta l’Italia ed oggi stesso ne rassodano la schiavitù. Se avessimo formato un popolo solo, un popolo compatto di otto milioni, un popolo intero e nel suo vigore di voglie, corroborato dalla scambievole energia come le due scintille che formano il fulmine, l’uno suffulto dall’altro, con la coscienza entrambi della propria forza, chi avrebbe osato stuprare la sovranità di questo popolo, e tentare il bombardamento di Messina ed il saccheggio di Napoli? Adesso il sacrifizio è consumato, ed è iniquo e puerile rimbeccarci a vicenda le comuni sventure: ma il passato ci faccia dotti dell’avvenire. Un vecchio scandinavo, un guerriero, dimandato un giorno se credesse piuttosto in Odin che in Cristo, nell’Edda piuttosto che nel Vangelo, rispose: io credo in me. Io credo in me! deve essere il motto di ordine della nuova rivoluzione d’Italia. Io credo in me!