Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/139

Da Wikisource.

— Oh! sì, mia madre! Mia madre! quale? La madre Annunziata, se volete!

L’Annunziata è l’ospizio dei trovatelli di Napoli.

— Scusate, disse Bruto.

— Che diavolo di roba è cotesta! Oh! come puzza; è l’ammalata che deve inghiottirla! Che mazzo di fiori! Come lo chiamate codesto orrore?

— Del musco, carina, risponde don Gaudioso, con molta buona grazia.

— E quest’altra porcheria? Puh....

— Del castoro, risponde don Gaudioso graziosamente.

— To’! e io credevo il castoro fosse una stoffa. Ah! parlatemi della canfora, alla buon’ora! conosco anche il chinino ed il laudano.... e questo che cos’è?

— Dell’oppio, risponde don Gaudioso con avvenenza.

— Presto, dunque, presto; la non ha più di scilinguagnolo, la grida, la dà delle busse, la mia padroncina, presto, presto.... Oh! come con dei fiori azzurri sarebbe bello un vestito di quel verde, lì, eh! che ne dite, don Gaudioso?

— Per chi è quella pozione, bella ragazza? chiese di nuovo Bruto.

— Per lei, giuro a Dio! c’è forse altri in casa che inghiotta di queste abbominazioni?

— La vostra padrona, senza dubbio?

— La mia padrona, appunto.

— È giovane codesta vostra padrona?

— Questo, signorino, non è affar vostro, mi pare. Dice di aver diciannove anni, si potrebbe dargliene vent’uno o ventidue; la stiratrice, che