Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/140

Da Wikisource.

la conosce da piccina, assicura che ne ha venticinque.

— Gli è molto che è ammalata?

— Siete ben curioso, signorino! S’è accorta, della sua malattia al principio del mese, o della settimana, o della stagione.... ieri.... oggi.... eh! siete contento ora? Ma fate presto, dunque! È l’ora della colazione di Monsieur.

— È, dunque, maritata la vostra padrona?

— Per chi, dunque, l’avete presa?

— Scusate, non ero per offenderla. Che malattia ha dessa?

— Son forse medichessa io? E a voi cosa importa di sapere che cosa ella ha? Peste! ho servito undici mesi nel convento dei Miracoli. Ohi oh! se ne vedono delle belle in codesti pensionanti! vi si acquista della probità.... E la padrona si nasconde, come se a vent’anni, uscita da un convento di Napoli, dovessi ignorare cosa vuol dir esser pallida, pensierosa, piangere, avere degli uragani di capricci, purgarsi ed ingollare questi orrori che le porto io! Ma fate presto, presto! non c’è bisogno di tanta attenzione. Sono sicura che la non verrà mai a capo d’ingoffare l’orrida cervogia che le reco....

— Don Gaudioso, permettete che legga questa ricetta?

Il farmacista gliela porse. Bruto la lesse e gridò:

— Misericordia! Tibia! il dottor Tibia! Non poteva esser che lui! Ma l’ammazza quella disgraziata, l’ammazza come egli ammazzò il mio povero zio! Oh! ragazza mia, dite alla vostra padrona che non prenda più di queste misture