Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/247

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napalo. L’onore di sposare la figlia del conte, la bellezza della fanciulla, mi toccarono poco altresì. Avevo scandagliato l’anima del conte e l’avevo trovata infame e putrida. Sua figlia mi odiava e d’altronde io era internamente corazzato contro la malìa di quel viso. Nonpertanto non si ha vent’anni per nulla. Ove il cuore rimbalzava, la carne gridava. Non amavo Cecilia, ma subivo la legge del desìo e non so quale influenza dei sensi.

— Passate, signore, passate, fece la principessa, i cui occhi fiammeggiavano.

— Pure non fu neppur questo che mi decise, signora. Io non mi fo bello: racconto semplicemente le cose. Non capivo bene, allora, ciò che vi potesse essere d’abbietto e d’immorale a sposare una donna nella posizione in cui si trova Cecilia, amando sempre il seduttore, benchè abbandonata e disprezzandomi e detestandomi. Il sentimento morale che questo stato di cose svegliava in me era vago. Ciò che mi commosse, fu l’onore oltraggiato di quella fanciulla, la sua vita spezzata. Porre una corona di vergine sul capo di quella vergine madre, dare un padre a quel bastardo, un nome a quella giovane donna, panneggiar di onore quell’infamia, mettere una bandiera di salvamento su quel naufragio, riparare, gettare un sorriso su quelle lagrime, dare il diritto della vita sociale ad una bella creatura e ad un infante, calmare gli allarmi d’un padre.... tutto ciò mi sembrò generoso, eroico, commovente, nobile. Dissi a me stesso: fo una buona azione all’inizio della mia vita, ciò mi porterà buona ventura.