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10 parte prima

vello ognun sa che stanno in stretta relazione con la poesia umorista. E l’Italia ebbe ai suoi tempi le Accademie degli Umorosi a Bologna ed a Cortona e degli Umoristi in Roma,1 e speriamo che i mali umori della politica non le facciano mai venir meno i begli umori nel regno dell’arte».

La parola umore derivò a noi naturalmente dal latino e col senso materiale che essa aveva di corpo fluido, liquore, umidità o vapore, e col senso anche di fantasia, capriccio o vigore. «Aliquantum habeo humoris in corpore, neque dum exarui ex amoenis rebus et voluptariis (Plauto). Qui humor non ha evidentemente senso materiale, perchè sappiamo che, fin dai tempi più antichi, ogni umore nel corpo era ritenuto segno o cagione di malattia.

«Li uomini, — si legge in un vecchio libro di mascalcia, — hanno quattro umori: cioè lo sangue, la collera, la flemma e la malinconia: e questi umori sono cagione delle infermità degli uomini». E in Brunetto Latini: «Malinconia è un umore, che molti chiamano collera nera, ed è fredda, e secca, ed ha il suo sedio nello spino» — com’è insomma nel latino di Cicerone e di Plinio. Sant’Agostino poi in un suo sermone ci fa sapere che «i porri accendono la collora, i cavoli generano malinconia».2



  1. E perchè non citare anche quella degli Umidi di Firenze di cui il Lasca disse (Lett. a Mes. Lorenzo Scala, premessa al primo libro delle opere burlesche, ed. Bern. Giunta 1548): «la quale (Accademia degli Umidi) principalmente fa professione, essendovi tutte persone dentro allegre e spensierate, dello stil burlesco, giocondo, lieto, amorevole e, per dir così, buon compagno?»
  2. Cecco Angiolieri in uno dei suoi sonetti, parlando della madre che gli vuol male, dopo avere enumerato alcuni cibi dannosi ch’ella gli consiglia, dice:

    E se di questo non avessi voglia
    e stessi quasimente su la colla
    molto mi loda porri con la foglia.