Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/158

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me come il “Gengè„ di mia moglie Dida, ma che io tutto quanto, per Quantorzo, altri non ero che il suo “caro Vitangelo„, proprio come per Dida altri che il suo “Gengè„. Due, dunque, non agli occhi loro, ma soltanto per me che mi sapevo per quei due uno e uno; il che per me, non faceva un più ma un meno, in quanto voleva dire che ai loro occhi, io come io, non ero nessuno.

Ai loro occhi soltanto? Anche per me, anche per la solitudine del mio spirito che, in quel momento, fuori d’ogni consistenza apparente, concepiva l’orrore di vedere il proprio corpo per sè come quello di nessuno nella diversa incoercibile realtà che intanto gli davano quei due.

Mia moglie, nel vedermi voltare, domandò:

— Chi cerchi? —

M’affrettai a risponderle, sorridendo:

— Ah, nessuno, cara, nessuno. Eccoci qua! —

Non compresero, naturalmente, che cosa intendessi dire con quel “nessuno„ cercato accanto a me; e credettero che con quell’“eccoci„ mi riferissi anche a loro due, sicurissimi che lì dentro quel salotto fossimo ora in tre e non in nove; o piuttosto, in otto, visto che io — per me stesso — ormai non contavo più.

Voglio dire:

1. Dida, com’era per sè;

2. Dida, com’era per me;

3. Dida, com’era per Quantorzo;

4. Quantorzo, com’era per sè;