Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/210

Da Wikisource.

signore, interrompendo un discorso molto serio sugli scrupoli della coscienza a cui egli da un pezzo s’era lasciato andare con evidente compiacimento del suo eloquio.

Monsignore si voltò appena a guardare; e, con uno di quei sorrisi che fanno benissimo le veci d’un sospiro, disse:

— Ah, sì: è un povero pazzo che sta lì. —

Con tal tono d’indifferenza lo disse, come per cosa da tanto tempo divenuta ai suoi occhi abituale, che mi sorse lì per lì la tentazione di farlo sobbalzare, annunziandogli:

— No, sa: non sta lì. Sta qui, Monsignore. Quel pazzo che vuol volare sono io. —

Mi contenni, e non lo dissi. Anzi, con la stess’aria d’indifferenza gli domandai:

— E non c’è pericolo che si butti giù dal terrazzino?

— No, è così, da tant’anni, — mi rispose Monsignore. — Innocuo, innocuo. —

Spontaneamente, proprio senza volerlo, mi scappò detto allora:

— Come me. —

E Monsignore non potè fare a meno di sobbalzare. Ma io gli mostrai subito una faccia così placida e sorridente, che d’un tratto lo rimise a posto. M’affrettai a spiegargli che intendevo innocuo anch’io nel concetto del signor Firbo e del signor Quantorzo, di mio suocero e di mia moglie, e insomma di tutti coloro che mi volevano interdire.