Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/33

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Ecco: era così: lo avevano fatto così, di quel pelame; non dipendeva da lui essere altrimenti, avere un’altra statura; poteva sì alterare in parte il suo aspetto: radersi quei baffi, per esempio, ma adesso era così; col tempo sarebbe stato calvo o canuto, rugoso e floscio, sdentato; qualche sciagura avrebbe potuto anche svisarlo, fargli un occhio di vetro o una gamba di legno; ma adesso era così.

Chi era? Ero io? Ma poteva anche essere un altro! Chiunque poteva essere, quello lì. Poteva avere quei capelli rossigni, quelle sopracciglia ad accento circonflesso e quel naso che pendeva verso destra, non soltanto per me, ma anche per un altro che non fossi io. Perchè dovevo esser io, questo, così?

Vivendo, io non rappresentavo a me stesso nessuna immagine di me. Perchè dovevo dunque vedermi in quel corpo lì come in un’immagine di me necessaria?

Mi stava lì davanti, quasi inesistente, come un’apparizione di sogno, quell’immagine. E io potevo benissimo non conoscermi così. Se non mi fossi mai veduto in uno specchio, per esempio? Non avrei forse per questo seguitato ad avere dentro quella testa lì sconosciuta i miei stessi pensieri? Ma sì, e tant’altri. Che avevano da vedere i miei pensieri con quei capelli, di quel colore, i quali avrebbero potuto non esserci più o essere bianchi o neri o biondi; e con quegli occhi lì verdastri, che avrebbero potuto anche essere neri o azzurri; e con quel naso che avrebbe potuto essere diritto o camuso? Potevo benissimo sentire anche una profonda antipatia per quel corpo lì; e la sentivo.