Pagina:Pitrè - Canti popolari siciliani I, 1891.djvu/146

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breve periodo, si fosse mostrata fautrice di popolari larghezze, e nella rimanente Italia, parteggiando pei Guelfi, aiutatrice della libertà de’ comuni a scapito della potenza imperiale.

Grandeggia Roma, ne’ canti di costanza sovrammodo, su tutta la cristianità, e l’argomento religioso ne è sempre la ragione. Passando a rassegna le armi e gli stemmi più famosi del suo mondo1 il poeta delle nostre montagne osserva che sebbene la Sicilia abbia una aquila reale, e una croce con due cuori, Malta e Venezia bellezze e tesori senza fine; sebbene Spagna non cessi dalla caccia dei Turchi, la sola Roma tiene il mondo sotto chiave e le donne del più dolce amore. L’amante vi si reca pellegrino ad implorar l’assoluzione dei suoi peccati; di Roma il miglior palazzo da offerire alla sua bella, già a un fonte romano tenuta; da Roma attende la dispensa del suo matrimonio; da Roma il pittore che deve ritrarre le fattezze onde la fama universalmente suona; fino a Roma vuol portare sulle braccia la bella stessa. La sovranità di quel Pontefice, che in più luoghi è detto santo, poggia pel poeta popolare sovra solide basi: e chi cerca di giustificarla e sostenerla, non può far di meglio di domandare l’appoggio dei canti, che la celebrano tanto incrollabile, quanto inalterabili sono le leggi di natura2. I quali canti, alludendo a non so quale assalto alla santa città, assalto che potrebbe confondersi coll’ultimo, di cui la memo-

  1. Di là dal quale esso non crede che altro ne possa esistere.
  2. Vedi a pagina 55 il canto che incomincia:

    Cu’ ti lu dissi ca t’haju a lassari, ecc.