Pagina:Pitrè - Canti popolari siciliani I, 1891.djvu/150

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Di lu Granturcu avissi lu tisoru,
E di lu ’Mperaturi lu cumannu1!

E dove esse non giungano, invano si sforzerà di riottenere la sua libertà il prigioniero, al cui riscatto s’impone un prezzo esorbitante:

  Nun cc’è arginteri chi pussedi st’oru,
Nè mancu lu Granturcu stu dinaru.

Pare esagerata forse tanta grandezza? Ebbene: essa formerà la nuova apoteosi della donna siciliana, di cui riuscirà a formarsi un giusto concetto chi sappia per avventura, lei essere stata desiderata da questo Granturco:

  Quannu nascisti tu, bella munita,
Fusti di lu Granturcu addisiata;

da lui essere stata presentata d’una mezzaluna, e dallo schiavo di lui, d’una catena e d’un bacino:

  Lu Granturcu vi detti ’a menzaluna,
Lu scavu lu vacili e la catina.

Terra di poesia è l’Oriente, che in ogni tempo ispirò molti ingegni. Dalle prime memorie del mondo i desideri e gl’imprendimenti degli Europei su di esso concentrarono unanimemente. Là è mandato Bacco dalla

  1. L’antichità di questo canto sì deduce dal secondo verso. Il poeta popolare desidera quattrocent'onze annue (Lire 5100), e le desidera così come un monte d'oro, e come le immense ricchezze del Sultano. Nel tempo a cui il canto ci riporta, questa somma costituiva una straordinaria rischezza per un Siciliano.

    Nella celebre canzone di Ciullo d’Alcamo si legge:
                Se tanto aver donassemi
                Quant’ha lo Saladino.