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STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI 139


avuto ne’ Siciliani il genio semitico degli Arabi, il canto nostro ha del lume e degl’impeti dell’Oriente1; se non che, altrettanto ritiene del fantastico quanto dell’immaginoso. L’esagerazione è sua, ma non quella trascendente e lugubre dei Tedeschi e degl’Inglesi: diversamente anzi dalla maniera nordica, il canto siciliano restringe in breve dettato, riducendosi alcuna volta allo scoppiettio d’una frase, ciò che sarebbe suscettibile di largo svolgimento. Non si leva come il canto popolare della Serbia all’altezza della poesia epica, non come il danese al fremito guerresco, ma non dissimile dallo scozzese è dolcemente malinconico, e patetico come il canto di Germania di cui parla F. Wolf. Non particolareggia in concetti, in idee, in affetti, nè sempre ed ugualmente ogni cosa a mo’ de’ Settentrionali personifica, tuttochè manifestazione di quella facoltà che rende presenti al pensiero, mercè vivo raccoglimento, gli oggetti. Scevro di ripetizioni e di ridondanze noi diremo, nè tampoco scevro di monotonia, che anzi vediamo che esso impiega la medesima forma, ripete gli^ stessi versi, gli stessi epiteti per dolci che possano apparire. Ma d’altro lato il diremo pure preciso nel formulare la idea; il che si tenne indizio di svegliatezza non comune d’ingegno, e di sensibilità risentita più che non quella di tutti i petrarchisti vecchi e di tutti i romantici nuovi.

Inoltre il nostro popolo non sa di circospezioni, di

  1. Nel 1858 un breve articolo del Prof. Vincenzo Di Giovanni mostrava: II Genio orientale della poesia antica e moderna siciliana. Vedi La Favilla di Palermo, an. II. n. 18.