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LE OPERE E I GIORNI


Cosí alla prima lettura, Le opere e i giorni sembrano uno zibaldone. In ciò concordano pressoché tutti i critici, dall’equilibratissimo Canna all’entusiasta Giovanni Setti, che parlò addirittura di olla podrida.

E dinanzi a una diagnosi cosí unanime e concorde, i chirurgi della filologia non esitarono, e ognuno volle tentare una sua qualche operazione, per restituire al poemetto una presunta integrità genuina. E tanti sono oramai i tentativi, che il partito piú saggio sembra quello di metterli tutti da parte, e leggere a mente sgombra il poemetto, cosí come la secolare tradizione lo ha tramandato.

E non c’è dubbio, anche per i meno proclivi allo scetticismo ipercritico, il sapore di miscuglio persiste. «Cavoli acidi con ambrosia», disse un tedesco; e disse alla tedesca, ma bene.

E non è, s’intende, la molteplicità degli elementi quella che disorienta, né la loro eterogeneità, né il trovarli distribuiti a casaccio qua e là nelle varie parti del poemetto. Ma egli è che, quando vengono a contatto, gli elementi eterogenei ra-