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II

LA MORTE.

Perché, non tócche, mormoran le corde
dell’appesa mia cetra? e il debil suono
qual aura desta, che in passar le morde?
Ah! che de’ miei sospir gli aliti sono,
5che giungon lá dove il mio plettro stassi,

caro un tempo, or negletto e in abbandono.
Sol che in eguale accordo io lo temprassi
per formar eco a’ miei dogliosi accenti,
cosa saria da impietosirne i sassi.10 Ma, se del labbro i flebili lamenti

tornanmi al cor, che li sostiene appena,
rimanga il plettro pur scherzo de’ venti.

Finger non so la luttuosa scena,

che, in rammentar nel di fatai qual era,
15mi serpeggia un tremor di vena in vena.

Infausto di! per te l’alba foriera

non cinga in oriente il roseo manto;

ma il crepuscolo tuo sia quel di sera.

Ahi quanto ben tu m’involasti! ahi quanto
20un tuo momento oprò, per cui mi resta

lunga stagion d’inessicabil pianto!

Opaca chiostra, e nel silenzio mesta,
quella è che or serba dell’estinta sposa
sul terreno ineguai l’orma funesta;
25spesso io volgo colá dove riposa,

come si volge calamita al polo,
la faccia scolorata e lagrimosa: