Pagina:Protocollo della repubblica romana.djvu/20

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tuale, tanto più parve non essere in loro possibile il principato civile.

La virtù e gli sforzi stupendi della gloriosa Firenze non valsero contro il furore ed il numero; ma si potè fin d’allora prevedere, che se mai fosse venuto il tempo della riscossa non avremmo avuto posa finché non fosse tolta via la doppia cagione della nostra dipendenza. Il tempo venne, c da voi ne sorse l’aurora di un luminosissimo giorno, che cadde ad infelice tramonto. A voi dobbiamo saper grado dell’averne generosamente riportati i semi della libertà; vi è noto come fossero accolti, c come fruttificassero in questa terra nostra. Entrammo dietro voi ad una vita nuova di operosità; ci seppe bello farci col sangue nostro partecipi delle vostre glorie, e rannodare sui campi di battaglia i legami di fratellanza. Ma quando la fortuna vi si volse in contraria, e alla proscritta monarchia vi risogettò la prepotenza straniera, quanto più dura non fu la nostra sorte? Guardammo intorno, e ci pesò sull’anima la vista delle ruine di que’ tre ultimi templi, ove sul lido adriatico, e sul tirreno, e per mezzo all’amena pianura irrigata dal Secchio, solca ardere la sacra fiamma di libertà, la quale avrebbe potuto quando che fosse, ravvivarsi, e diffondere la sua luce dall’Alpe al Lilibeo. L’Aquila grifagna, si ghermì ne’ suoi artigli la parie più ricca e più forte del nostro paese; coperse sotto alle nere sue ali tutto all’intorno, ed a sua voglia fè strazio dell’universa nostra famiglia. Vi levaste contro l’opera della prepotenza straniera; in tre dì la disfaceste; e noi sperammo, che dovess’essere per sempre disfatta anche per noi. Ma il re sorto dalle vostre barricate per assicurare la propria dinastia si palleggiò coi vostri, c coi nostri nemici, e sull’altare che egli intitolò della paco, ma che dovea dirsi piuttosto della regia viltà, immolò l’Italia, immolò la Polonia, e fè ricadere sulla Francia Fonia di aver assistito mirarmi in braccio al miserando spettacolo del sacrificio delle sue sorelle. Moti patiste a lungo l’abbiezione, alla quale quel perfido vi avea condotti; crollaste il trono da voi medesimi malauguratamente eretto: vi rivendicaste in piena libertà. Dalia vostra tribuna mosse una voce di conforto per noi; ma ben tosto rimase soffocata, c per poco non abbiamo a temere che alle vostre promesse riescano affatto contrarj gli effetti. A voi ci volgiamo, o giovani, a’ (piali la comunanza delle discipline ci fà concittadini d’una medesima Repubblica: a voi, che per gli studj vostri siete la mente, per l’età siete la forza della nazione: a voi, che ne’ vostri consigli cercale quel che è bene comunemente, non quel ch’è utile per Yòi stessi: a voi, cui palpita in petto un. cuor franco