Pagina:Relazione 28 febbraio 1861 (Comitato Nazionale di Fano).djvu/7

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Ma prima di accennare al poco bene che ha fatto, prima di parlare di sè stesso, il Comitato sente che questa è propizia e desiderata occasione di compiere un’altro dovere, un sacro dovere che noi tutti, o Signori, sentiamo profondamente nell’animo; un caro dovere di ricordanza, di affetto, di gratitudine, che i nostri cuori adempiranno opportunamente in questo stesso giorno, che la Società nostra inaugura la sua trasformazione, per la quale, deposta la gramaglia del dolore, il sommesso e concitato lamento del vinto, gli ardenti e arrisicati propositi dello schiavo, assume la veste della letizia, l’inno del vincitore, l’operoso ed ordinato lavoro di una patria associazione.

Egli è ben vero; le sventure e le gioje della nostra piccola ma non oscura città si perdono nel mare di sventure che sommerse per tanti secoli e per poco non affogò la Nazione, nel torrente di gioja che ora la inonda e la vivifica dai gioghi dell’Alpi all’estrema punta di Sicilia; i nostri piccoli fatti si confondono e scompaiono nella serie portentosa di eventi pei quali la provvidenza richiama l’Italia ad insperati e gloriosi destini; ma come senza il concorso anche delle picciole parti non può il tutto comporsi, così i nostri fatti concorsero nella lor picciolezza a spingerci verso la sublime meta che abbiamo raggiunta. — La Nazione scriverà a caratteri indelebili nelle pagine della sua epopea la lealtà e il valore di un Re miracoloso, la civile sapienza, la politica sagacia di un ministro patriotta, l’ardimento, la modestia favolosa di un eroe popolare, le gesta dell’esercito, le imprese dei volontari, la prudenza e l’annegazione dei rettori, la fede e la costanza del popolo. — Noi in questa riunione di famiglia, senza pompa e senza ostentazione vi rammenteremo con cittadina compiacenza le fatiche dei nostri, portando la nostra pietra all’edificio della Nazionale riconoscenza.

Ci conviene indietreggiare di 12 anni, fino ai giorni di squallore che succedettero ai disastri nazionali di Novara, di Roma, di Venezia. Il colpo era cosi tremendo da parer l’ultimo crollo d’ogni italiana speranza; invece fu quella l’aurora della italiana salute. Perocchè, colma la misura, le sventure cominciavano ad ammaestrarci. Noi eravamo sconfitti, perchè divisi e discordi, pugnanti per lo stesso principio ma con diversità di direzione, di mezzi, d’intendimenti; pugnanti più coll’ardore e la foga