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studii economici sulle monete di milano 43

tisse, purissimi ducati doppi d’oro, vi introdusse, copiato nello stesso tempo di Francia, per buona fortuna (Le Blanc) in tenuissima quantità, lo scudo d’oro, che all’ultimo duca Sforza piacque pure in ristrettissimo numero di imitare.

Dell’imperatore Carlo V, che fu sì largo in coniare argento, non abbiamo si può dire monete d’oro, giacchè per tale non vi è il merito di nominare la doppia a 22 carati ed un ottavo che fu stampata in numero di 10 mila nel 1548 per farne regalo al principe Filippo suo figlio allorchè venne a Milano (Argelati, T. III in fine all’Appendice, pag, 31, nota 1, tav. I). Pure da quel tenue saggio si ricava la prava intenzione ch’egli aveva di guastare e togliere presso di noi l’antica, onorevole, utile purità italiana, prava intenzione, ripeterò, che largamente poi mandò ad effetto in Napoli, potendolo io assicurare per assaggio praticato sopra diverse monete in mio dominio di quella zecca.

I re di Spagna che vennero dopo, furono, propriamente parlando, se non li primi autori dell’abuso, quelli che coi loro scudi e doppie d’oro lo generalizzarono, e lo fecero trionfare in casa propria e per tutta l’Italia, tanto meno scusabili perchè ricchissimi di un tale metallo, in cui frammischiarono quasi una decima parte di lega, e tralasciando, eccetto una sola volta, di stampare zecchini (Arg. pag. 35, tav. IV) locchè avvenne con loro danno, notabil cosa osservata e ragionata dal profondo scrittore in materia monetaria Geminiano Montanari modenese. Grande fu la quantità di tali monete coniate dal 1579 per tutto il secolo dopo, come osservò il Conte Carli, e come può vedersi nelle sopraccitate tavole dell’Argelati. Ed il citato Montanari, vissuto nella seconda metà del 1600 ci assicura che l’Italia era inondata