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44 giovanni mulazzani

dall’oro delle doppie ispane, milanesi, napoletane e dei principi minori italiani.

Il lungo intervallo, sia imperatorio o regio di questo mezzo secolo di Carlo VI, abbastanza è che venga accennato per non aver egli che per debolezza proseguito nella imitazione del sistema, che aveva trovato in vigore.

Nella riforma monetaria di Maria Teresa del 1778 si ritornò a stampare zecchini con qualche per altro tenue e non lodevole facilitazione della scrupolosa purità antica, e si ritornò pure a coniar doppie della bontà ispana introdotte nel 1726, che meglio sarebbe stato di lasciar sepolte nell’obblio. (Veggasi la tariffa delle monete Napoleoniche, 21 dicembre 1807).

Il governo del regno d’Italia ne’ suoi pezzi da 20 e da 40 lire determinò la lega a 1/10 ossia a 0,900 il titolo dell’oro sull’esempio delle monete francesi, cui le nostre dovevano equipararsi in quel tempo per legge politica. Senonchè riflettendo io alla mente che fu sì magnanima ed illuminata di Napoleone, non posso non meravigliarmi, che non abbia concepito l’idea di batter moneta invece di puro oro, poichè allora avrebbe essa sicuramente fatto il giro della terra, come già fecero li zecchini veneziani, che allo scoprimento delle Indie Orientali, fatto dai Portoghesi, furono trovati dispersi in tutta l’Asia. La qual cosa, io credo, che sarebbe senza dubbio avvenuta con accrescimento della sua gloria e con guadagno de’ suoi popoli, se fra li suoi consiglieri di Francia o d’Italia, se ne fosse trovato uno della forte tempra dell’economista modenese. Tal uomo gli avrebbe detto, che il batter metallo della maggior finezza possibile regola dev’essere di ben ordinata zecca; che nella culla più antica che si conosca dell’umano sapere, in Egitto, furono coniate monete finissime;