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l’uragano di neve 215


— Ci saluta, — rispose il capitano.

— Con quella lingua! Da dove l’ha cacciata fuori!

— Tutti i Tibetani l’hanno così lunga.

— Dite mostruosa. È ributtante! Sembra quella d’un orso formichiere.

— Se saremo costretti a fermarci qui ne vedrete ben altre più enormi.

— Mille storioni! —

Il Tibetano, dopo quel saluto, con una mimica molto espressiva, aveva invitato i suoi ospiti a sedersi attorno al fuoco, dove già si trovavano dei grossolani tappeti di feltro.

Tutti i montanari di quei desolati altipiani, per lo più non si esprimono che con moti, come se incontrino qualche difficoltà nel parlare. Dipende forse dalle mostruose dimensioni della loro lingua e anche dalla pessima disposizione dei loro denti? Il fatto sta che fra di loro non parlano quasi mai. Si esprimono e si comprendono benissimo con moti della bocca e della lingua, agitando le labbra in vari sensi, aiutandosi anche coi pollici delle mani per meglio far comprendere i loro desideri.

Anche quando vogliono salutare, invece di dare un cordiale «buon giorno» o la «buona sera», si limitano a sporgere, più che possono, la lingua.

Il capo andò a prendere un coltellaccio e da un quarto di jack che era sospeso alla parete, staccò alcuni enormi pezzi che depose dinanzi agli ospiti invitandoli a mangiare.

— Mille milioni di fulmini! — esclamò Rokoff. — Questo scimmiotto ci prende per tigri o per lupi per darci della carne cruda.

— Non usano cucinarla, — disse il capitano. — Questi montanari vivono nel modo più primitivo che si possa immaginare e non si nutrono che di farina d’orzo e di carne cruda. Immaginatevi che non conoscono nemmeno il the!

— Io non farò onore a questo pasto da cannibali, — disse Fedoro.

— Abbiamo le nostre provviste e vedrete che il capo non si farà pregare per assaggiarle.

Aveva portato delle scatole di carne conservata, un pudding gelato, dei biscotti, dello zucchero per prepararsi il the e due bottiglie di ginepro.

Depose ogni cosa intorno al fuoco e invitò il capo a prendere parte al pasto.