Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/173

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due ghiotti a un desco 117


Sorpreso Eumolpione da siffatta risolutezza, non cercò la cagion del mio sdegno, ma sortì tosto tirandosi appresso l’uscio della camera, e mi serrò dentro, che non me l’aspettai, portando seco furtivamente la chiave, e correndo a cercar di Gitone.

Trovandomi così chiuso io risolsi di troncar la mia vita con un laccio, e già io aveva annodata la mia cintura ad una colonna del letto vicina al muro, e già intorno al collo me l’era posta, quando riaperto l’uscio Eumolpione entrò con Gitone, e mi rese a vita, stornandomi del mio proposto. Gitone soprattutto preso di rabbia pel gran dolore, alzò le grida, e spintomi con ambe le mani mi precipita sul letto, dicendo: tu t’inganni Encolpo, se credi potersi dar che tu muoia prima di me. Io ci pensai pel primo, e cercai perciò in casa di Ascilto una spada; se non ti avessi trovato io sarei ito a buttarmi giù pei dirupi; e perchè tu veda, che ad un che voglia morire la morte non è mai lontana, osserva tu ora a tua posta ciò, di che tu volevi me spettatore.

Così dicendo, strappò di mano al domestico99 di Eumolpione un rasoio, e una o due volte ficcatoselo nella gola ci cadde ai piedi. Io atterrito gridai, e cadendo sopra di lui tentai di ammazzarmi col ferro medesimo. Ma nè Gitone avea pure un segnal di ferita, nè io sentii dolore, perchè il rasoio era grossolano, e senza filo, ad uso de’ ragazzi che imparano a rader la barba, onde vi si pungano colla franchezza necessaria al barbiere. Perciò nè spaventossi il domestico per l’arma strappatagli, nè si oppose Eumolpione a questa morte da teatro.