Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/15

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“Parlando troppo un dì Sofia gridò:
     “Ahimè! la lingua mi son morsa, ahimè!
     “No, crederlo giammai non lo potrò,
     “Un caustico signor, disse, perché
     “Pria di dirmi d’averla morsicata
     “Vi sareste ben tosto avvelenata!
“Altero un giorno al suo rival diceva
     “Con orgoglio maggior, che non l’usato,
     “Un tal, che insieme a quel concorso aveva
     “Ad essere in bel posto collocato,
     “E che con basso intrigo e avvilimento
     “Pergiunse ad appagar tosto l’intento:
— “Ad aver quest’onor valse il sol merto,
     “Non feci, amico mio, nemmeno un passo. —
     “Non istare a dir più, lo credo, certo!
     “Rispose l’altro, tanto! non far chiasso,
     “Quand'è talun di forma serpentina
     “Striscia, striscia mai sempre e non cammina.
“Un Ministro rivolto a un tal Bonino,
     “Eh! disse, voi famelici, che ambite
     “Ad aver per mia mano un posticino,
     “M’amate sol, finchè di me sentite
     “Bisogno, e quando sazii ve ne andate,
     “Buona notte, di me più non pensate.
— “Che sì, che s’è ingannata l’Eccellenza
     “Vostra, con un sorriso allor risponde
     “Bonin, che la sa lunga, in confidenza
     “Con voci le vo’ dir chiare e rotonde:
     “Io sempre l’amerò, contento stia,
     “Chè dopo il pasto ho più fame, che pria. —
“Eh! davver, ce ne aveva delle belle
     “Diogen dal famoso lanternino.
     “(Zitte, ascoltate, o care mie zitelle,
     “Chè poi debbo parlarvi all’orecchino.
     “Ciò che giovar vi puote, io ve lo dico,
     “Perché v’amo, e vi son fedele amico.)